Maurizio Costanzo racconta “La faccia delle persone”, realizzato con il produttore Roberto Costa: un disco in cui lega la musica alle sue esperienze autobiografiche

Giovedì 28 Novembre 2024 14:23 di Redazione WebOggi.it

Tra una lezione in Conservatorio, in qualità di docente, e la sua attività di giornalista è riuscito a scrivere e pubblicare il suo primo disco. «Volevo cantare e divertirmi. Ho composto le otto canzoni dell’album con spirito leggero. Ho fatto appello alla mia parte nottambula e così davanti alla luce di un abat-jour che illuminava me e il mio pianoforte mi sono messo a scrivere». Con queste parole il cantautore calabrese, Maurizio Costanzo, che vive tra la Calabria e l’Emilia Romagna, racconta “La faccia delle persone”,il suo primo disco, uscito in formato fisico, in digital download e su tutte le piattaforme streaming.

 

«Un cantautore - continua Costanzo - non può scrivere e riflettere su argomenti avulsi dal contesto personale. Non riesco a mettere distanza tra la musica e la mia vita. Tutto è ispirato alle mie esperienze passate. Mi piace raccontare storie che conosco, usando le parole come fossero delle immagini e la musica come colonna sonora».

Il viaggio musicale parte da lontano. Terminati gli studi in Conservatorio a Vibo Valentia e l’Università a Bologna, inizia la carriera di musicista classico. Suona l’oboe e collabora con orchestre e gruppi di musica da camera in Italia e all’estero.Decide negli anni di affiancare la sua attività di musicista classico a quella di giornalista, scrivendo per diversi quotidiani nazionali e curando per la casa editrice, Kore Edizioni, riviste di design e architettura.

«Arrivare dalla musica “colta” a quella pop non è un passaggio consueto», continua. «Apparentemente sono ambiti sonori molto distanti tra loro, ma anche facilmente intersecabili. La molla credo sia scattata molti anni fa. Intervistai più volte Lucio Dalla, mi fece visitare i suoi studi di registrazione e cercò di farmi capire com’era facile – almeno per lui – trovare l’ispirazione nelle cose quotidiane. Credo siano stati questi incontri a suscitare in me curiosità e voglia di entrare nel vasto e variegato territorio della musica leggera. Nei suoi testi Dalla riusciva a colpire il bersaglio prefissato con l’accuratezza di un cecchino. Adoro soprattutto le canzoni dei suoi primi tre album: erano avvolgenti e sperimentali, presentavano un bisogno d’introspezione che non lasciava un centimetro a lusinghe facilone o a sentimentalismi. Ecco questo ha rappresentato per me il punto di partenza».

Attualmente Maurizio Costanzo è docente della classe di Oboe al Conservatorio di Cosenza, impegno professionale che lo porta a spostarsi continuamente tra la Calabria e Bologna. Ed è proprio qui che haconosciuto il suo produttore e arrangiatore Roberto Costa, storico collaboratore di Lucio Dalla, RonLuca CarboniMina, Gianni Morandi.

«Lui mi ha insegnato che fare il cantautore, oggi, vuol dire possedere un retroterra di ascolto e ricerca in generi musicali lontani dal mainstream, poco bazzicati nei percorsi più canonici di formazione alla musica pop, hip-pop e trap. E soprattutto ho capito, durante le giornate passate in studio di registrazione al suo fianco, che bisogna possedere una buona dose di rigore, per rigare dritto verso arrangiamenti di una certa compostezza: solo così si può dare risalto alla comunicazione del testo».

Nelle otto tracce del disco, attraverso la voce racconta storie che sono una sintesi del suo percorso autobiografico: sentimenti, famiglia, incontri, esperienze di vita, malattia di Parkinson. 

“L’ultimo giorno” è un pulsante invito a godere ogni singola occasione della nostra vita come se fosse appunto, sempre, l’ultimo giorno. «Finché siamo giovani ci esplode il mondo tra le mani, ci scivola addosso tutto, non ce ne rendiamo nemmeno conto. Poi, crescendo, tutto cambia e siamo presi dai pressanti ritmi della vita frenetica e dal condizionamento delle convenzioni sociali. Ho scritto il testo dopo aver letto “I quattro libri di lettura” di Lev Tolstoi, un libro di favole per bambini. Nella lettura di questo capolavoro i bambini sono per noi una presenza inesorabile di giudizio, perché sono innocenti e il loro giudizio è sempre e totalmente libero. Forse dovremmo ritornare bimbi per vivere più gioiosamente».  

In “Tutto quello che rimane” si evidenzia il bisogno che abbiamo di comunicare e interagire con il mondo circostante, ma spesso “tutto ciò che rimane” da mostrare agli altri - per nostra incapacità - sono solo le nostre facce. «Ognuno di noi ha il proprio volto, che lo distingue dagli altri. Questo volto è l’espressione di ciò che siamo e siamo stati. Camus diceva che “dopo una certa età ognuno è responsabile della propria faccia”. Chissà come vivono male quelli che non sono soddisfatti di ciò che vedono allo specchio e tutte le mattine devono mettere su un po’ di trucco per presentarsi in pubblico. Allora se ciò che rimane di noi sono le nostre facce, cerchiamo di farcele piacere».

“Mia madre ha il Parkinson” è la canzone più autobiografica del disco. Costanzo riflette sulla sua esperienza accanto a una persona costretta a vivere con una malattia degenerativa, evidenziando il punto di vista di un figlio che assiste inerme a un lento e costante annullamento delle capacità cognitive e di movimento della madre.

Nel discoè facile riconoscere la sostanza concreta di una calda sonorità, malinconica, emotivamente intensa. Atmosfere intime e sonorità dai toni confidenziali si alternano a momenti in cui rimescola le carte in tavola con riff di chitarre quasi rock. Un disco, insomma, che sfida i generi e la forma canzone.

 


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