La sindrome della capanna: i giovani e il Lockdown

Lunedì 11 Maggio 2020 20:00 di Redazione WebOggi.it

Tra le conseguenze devastanti dei provvedimenti antiscientifici presi dal governo con il lockdown emergono con forza, in questi giorni, quelle sui giovani e i bambini costretti in casa in questi mesi di quarantena. 

E' quanto emerge dalle riflessioni di Massimiliano Capalbo sul suo Blog " Ereticamente.it"

Per molte settimane i media, attraverso spot in cui erano protagonisti attori, presentatori e cantanti, hanno invitato a stare chiusi in casa e ad utilizzare le tecnologie per comunicare con l’esterno, il ministro dell’istruzione ha esaltato la scuola online e i ragazzi sono stati indotti ad eccedere nell’uso di questi strumenti che, già prima della pandemia, non prevedevano limitazioni e rappresentavano un grosso problema per il loro sviluppo psico-fisico. Senza contare gli effetti delle onde elettromagnetiche sulle cellule dell’organismo, bombardate per molte ore al giorno.


Che le nostre società siano estremamente fragili lo abbiamo scritto molte volte, i giovani vengono sempre più cresciuti da genitori spazzaneve, pronti a rimuovere ancora prima che i figli vi si imbattano gli ostacoli che incontreranno lungo il cammino, anche quelli più banali. I bambini di oggi non si devono sporcare, non si devono far male, devono vivere al riparo dalla realtà. La generazione contemporanea è stata definita la bubble wrap generation: la generazione degli iperprotetti. Se a questo aggiungiamo l’uso smodato delle tecnologie il disastro è completo.


Tra i primi a lanciare l’allarme circa l’allontanamento di bambini e ragazzi dalla natura è stato Richard Louv autore di un libro “L’ultimo bambino nei boschi” che, nei primi anni del duemila, ha fatto da apripista per le ricerche sul rapporto tra natura e bambini. Numerose ricerche hanno dimostrato che i bambini che non crescono a contatto con la natura sono bambini che in età adulta avranno maggiori possibilità di sviluppare malattie come l’obesità, disturbi di attenzione e cognitivi, maggiore propensione ad atti di bullismo, stress e così via. Louv l’ha definito Nature Deficit Disorder, ovvero “Sindrome da deficit di Natura”. La rinuncia alla vita all’aria aperta, nel lungo periodo, crea un essere umano squilibrato protagonista poi dei fatti di cronaca che apprendiamo quotidianamente dai media, perché l’uomo è nato per stare nella natura, è parte della natura, non può separarsene pena la malattia.


L’indagine pubblicata in questi giorni, dal titolo “Giovani e Quarantena”, promossa dall’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, Gap, Cyberbullismo) in collaborazione con il portale Skuola.net, che ha indagato 9.145 giovani in età scolare tra gli 11 e i 21 anni, ci consegna gli effetti del lockdown su di loro, e fa emergere comportamenti che preoccupano psicologi, genitori ed educatori. Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’associazione, intervistato ieri nel corso della trasmissione I Padrieterni su Radio24 spiega: “quello che è emerso dalla ricerca è la contraddizione della tecnologia… tanti ragazzi dicono di essere costantemente connessi, fino al 90% dice che non riesce mai a staccare dai propri amici, passa più di 10 ore al giorno davanti allo smartphone, eppure il 74% dice di sentirsi profondamente solo. La tecnologia ad oggi non riempie il senso di vuoto di angoscia che abbiamo… i ragazzi ci hanno detto che hanno voglia di fare qualcosa con i genitori, con i padri, anche cose manuali, i padri tendono a non essere presenti nelle attività manuali come costruire un gioco, fare un’attività.” Si registra, in questo periodo, un aumento dei disturbi da attacco di panico e “i genitori pensano che è tutta colpa dello schermo, della tecnologia, in realtà dobbiamo tornarci a prenderci cura delle loro paure, perché anche loro sono spaventati.” E come non esserlo dopo mesi di squilibrato martellamento mediatico sul virus?
Si parla di “sindrome della capanna” ovverocontinua a leggere 


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