
La Calabria e la lotta ai tumori: pazienti e cittadini critici su strutture, assistenza e tempi di attesa.
Lunedì 28 Ottobre 2019 18:33 di Redazione WebOggi.it
La Calabria e la lotta ai tumori: pazienti e cittadini critici
su strutture, assistenza e tempi di attesa.
Maggior apprezzamento per l’impegno di medici e infermieri
In Calabria oltre 80.200 persone vivono dopo la diagnosi di tumore maligno,
10.350 sono i nuovi casi registrati. Cittadini e pazienti esprimono un giudizio positivo su impegno e preparazione del personale ma sono critici su strutture, organizzazione e tempi di attesa.
I risultati dell’indagine realizzata da Ipsos insieme a Salute Donna Onlus e alle Associazioni pazienti sostenitrici del progetto “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” evidenziano le molteplici criticità del sistema assistenziale calabrese oggi proiettato verso l’attivazione di una
Rete oncologica regionale
Catanzaro, 26 ottobre 2019 –Una sanità “dal volto umano” nella quale però l’abnegazione e la competenza di medici e infermieri non bastano a sopperire alle criticità delle strutture e dell’organizzazione. Cortesia e preparazione del personale sono apprezzati dai pazienti calabresi tanto nella fase diagnostica che nel percorso di cura, ma in generale l’opinione pubblica calabrese appare estremamente critica con lo stato della sanità regionale, sia in confronto alle altre Regioni, sia in assoluto. Appena più favorevole il giudizio dei pazienti, oncologici e oncoematologici, che vivono in prima persona il percorso di diagnosi e cura. Particolamente significativo il dato dell’elevata percentuale, dal 34 al 50%, di pazienti che si astengono dal giudizio rispetto ai Centri di cura e alle possibilità di scelta.
È il quadro dell’assistenza sanitaria nella Regione Calabria che emerge dalla ricerca “La Calabria e la lotta ai tumori: il punto di vista di pazienti e cittadini”: l’indagine, che coinvolge in modo parallelo cittadini e pazienti oncologici e onco-ematologici, è stata realizzata dall’Istituto Ipsos insieme a Salute Donna Onlus e alle Associazioni del progetto “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, impegnate a promuovere il miglioramento dell’assistenza e della cura dei pazienti affetti da tumore e attive in Calabria: AIPaSiM Onlus – Associazione Italiana Pazienti con Sindrome Mielodisplastica, ARCO – Associazione Riuniti Calabria Oncologia, Gruppo AIL Pazienti con Malattie Mieloproliferative Croniche Ph, L’Arcobaleno della speranza onlus.
La Calabria, dove oltre 80.200 persone convivono con un tumore, con 10.350 nuovi casi registrati ogni anno, è il terzo capitolo dell’indagine che il progetto di Salute Donna Onlus sta promuovendo in diverse Regioni italiane – la prima è stata il Lazio seguita dalla Lombardia – per misurare la percezione dei malati di tumore e dell’opinione pubblica rispetto all’offerta erogata dai Servizi Sanitari Regionali. Dopo la prima, positiva esperienza del 2018, l’Intergruppo consiliare si prepara a lavorare insieme alle Associazioni dei pazienti sui grandi temi dell’assistenza ai malati di cancro.
«Da calabrese, sono abbastanza sconfortata dai risultati emersi dall’indagine– dichiara Annamaria Mancuso, Presidente Salute Donna Onlus – che mettono in evidenza una sanità regionale decisamente non in buona salute. Mi auguro che la politica regionale possa recepire quanto emerso e farne tesoro affinché i malati di cancro della Calabria non debbano più trasferirsi da una Regione all’altra per farsi curare e non debbano considerare la loro sanità di serie B se non di serie C. Il gruppo de “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” è a disposizione per dare una mano, per aiutare a capire come migliorare la qualità di vita dei pazienti con tumore, attraverso le competenze tecniche e scientifiche che sono a bordo del progetto».
Al primo impatto, al momento della diagnosi, i giudizi sull’articolazione dei servizi risultano discreti: in particolare, le relazioni umane che segnano il percorso di cura sono ritenute adeguate, così come la preparazione e professionalità del personale. Per quasi un paziente su 3, invece, è inaccettabile la qualità di ambiente e macchinari e la mancanza di chiarezza informativa. I tempi di attesa risultano il punto di forte caduta nell’esperienza dei pazienti intervistati.
In ogni caso un tumore su 3 in Calabria è stato scoperto casualmente, un altro terzo nel corso di una visita specialistica ma il ruolo degli screening appare davvero marginale (2% quello offerto dal SSN e 11% volontariamente eseguito). Un paziente su 2 sente il bisogno di approfondire con una ‘second opinion’, nel 65% dei casi, mentre un terzo circa si confronta all’interno della famiglia. Una percentuale simile (1 su 3) cerca informazioni su internet mentre un malato su 10 contatta un’Associazione di pazienti.
«L’indagine di Salute Donna è abbastanza pertinente– commenta Bernardo Bertucci, Direttore Radiologia Diagnostica, Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio di Catanzaro – i calabresi sono piuttosto critici verso la nostra sanità che è commissariata da dieci anni. Purtroppo noi medici siamo un po' lasciati alla buona volontà. La Calabria è fanalino di coda in Italia per la sanità e ciò è dovuto alla mancanza di programmazione e di obiettivi da parte degli amministratori. Le competenze ci sono e anche la voglia di fare, manca la capacità gestionale e organizzativa, mancano i sistemi di controllo, è questo il motivo per cui nella nostra Regione c’è tanta mobilità passiva. Margini di miglioramento ce ne sono, in particolare per la radiologia diagnostica sarebbe necessario avere strumenti più innovativi, ma la risposta è sempre un secco ‘no’. La competenza da sola non può bastare».
La maggioranza dei cittadini e di pazienti dichiara di curarsi nelle strutture di ambito della propria Regione, tuttavia il fenomeno della mobilità attiva è presente (25% popolazione generale e 13% tra i pazienti). Preponderante la presenza di accesso al servizio pubblico, inesistente almeno stando alle dichiarazioni, il privato solvente. Di nuovo il fattore umano (personale medico più competente) è la leva principale nella scelta della struttura (29%), seguita dal consiglio dello specialista (21%) che conta molto di più della reputazione del centro di cura (8%).
I giudizi sulla struttura utilizzata in fase di cura, sono discreti perché la soddisfazione dei pazienti calabresi si incentra sull’elemento umano, con il 70% dei consensi. Più carenti risultano la qualità delle strutture e la completezza delle informazioni ricevute con un 25% di insoddisfatti, sebbene l’87% dichiari di aver ricevuto informazioni sui rischi e benefici della terapia e l’85% afferma di aver firmato dopo una adeguata spiegazione, il consenso informato.
«L’analisi di Ipsos e Salute Donna fa emergere dati piuttosto preoccupanti che devono far riflettere in maniera molto seria gli amministratori, i decisori politici e la classe medica– afferma Pierpaolo Correale, Direttore Oncologia Medica, Grande Ospedale Metropolitano Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria – di fondo abbiamo a che fare con problemi radicati di tipo gestionale e organizzativo, a farne le spese è il cittadino che a ragione dimostra una naturale diffidenza. Sicuramente il rapporto umano in qualche modo colma questi vuoti, cui fanno da contrappeso la professionalità e la competenza dei medici e degli infermieri che personalmente ho potuto constatare subito dopo il mio arrivo a Reggio Calabria».
Quanto al ruolo del medico di Medicina Generale nel percorso di diagnosi e cura, tutto sommato il giudizio dell’opinione pubblica calabrese è più che discreto ma per i pazienti la sua capacità di affiancarli in termini empatici, di sostenerli e di indirizzarli è decisamente carente. Si ravvisa dunque nei giudizi la necessità di sopperire a carenze importanti nel rapporto medico-malato oncologico.
«Trovo che l’analisi effettuata da Ipsos e Salute Donna sia molto accurata per quanto riguarda i parametri utilizzati per valutare la percezione dei calabresi sull’offerta sanitaria. I pazienti esprimono una maggiore soddisfazione sui servizi rispetto alla popolazione e questo è un aspetto incoraggiante –sottolinea Vito Barbieri, Dirigente Medico, Unità Operativa di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera-Universitaria Mater Domini di Catanzaro e Coordinatore Sezione Regionale AIOM Calabria – conosciamo bene le carenze della nostra sanità, ma esiste sicuramente un problema di comunicazione a livello della popolazione che mina alla base la reputazione della sanità calabrese. Il paziente si sente preso in carico dal punto di vista emotivo. Dobbiamo migliorare e gli amministratori devono capire la necessità di attivare e mettere a sistema la Rete oncologica calabrese, che diventerebbe punto di riferimento dei pazienti attraverso percorsi specifici per i singoli tumori e una presa in carico globale del malato».
Il 34% dei cittadini e il 26% dei pazienti sono al corrente dell’esistenza delle Breast Unit, tuttavia la notorietà e la localizzazione di queste strutture dedicate alla diagnosi e cura delle patologie mammarie non risultano particolarmente conosciute. Solo il 4% tra la popolazione generale e il 10% dei pazienti sa esattamente di cosa si tratti.
«La situazione della sanità calabrese è precaria e bisogna lavorarci molto anche se nell’insieme il giudizio dei malati è discretamente buono– commenta Francesco Abbonante, Coordinatore Breast Unit, Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio di Catanzaro – per quanto riguarda le Breast Unit la situazione è estremamente critica: in generale manca un ricambio di professionisti e non c’è sensibilità verso la patologia della mammella. In questo momento stiamo lavorando per creare un centro di riferimento regionale a Catanzaro per le donne calabresi e per i medici che se ne occupano. Se non si percorrerà questa strada temo che il territorio regionale rimarrà scoperto».
Secondo l’indagine 6 intervistati su 10 affermano di aver avuto accesso all’esperienza della chirurgia, in questo caso le valutazioni positive superano ampiamente quelle negative. Un terzo dei pazienti è stato operato dove è stato curato. Due terzi dei pazienti (60%) conoscono i farmaci innovativi in ambito oncologico e la maggioranza relativa (42%) è a conoscenza del fatto che tali farmaci sono limitati alla cura di alcune forme tumorali. Al confronto, la popolazione generale risulta meno (47%) ma meglio (66%) informata.
Meno della metà (40%) dei pazienti e il 37% della popolazione, è risultata al corrente dell’esistenza dei test genetici, ma solo un piccolo 4% è in grado di citarne almeno uno correttamente.
«L’indagine è particolarmente interessante, bisogna ringraziare Salute Donna per questa iniziativa– sottolinea Salvatore Palazzo, Ex Direttore Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera di Cosenza – i risultati hanno questa volta un riscontro numerico e pertanto sono validi e concreti, mi sconcerta il fatto che ci sia uno zoccolo duro di persone che non rispondono, forse per la innata diffidenza dei calabresi, è comunque un aspetto che deve far riflettere dal punto di vista antropologico. Un altro punto interessante è lo scarto tra ciò che percepisce la popolazione sana e quello che pensano i malati. È chiaro che bisogna aumentare la conoscenza e l’informazione su argomenti più specifici come le terapie sperimentali e i test genetici, in parte questa ignoranza è colpa degli stessi medici. Credo che le Associazioni in questo possono fare molto».
Opinione pubblica e pazienti oncologici concordano, invece, sull’importanza di poter disporre di un supporto psicologico quando il tumore colpisce, stranamente questa percezione è più sentita tra la popolazione che non tra i malati. Il 33% dei pazienti e/o dei loro congiunti ha ricevuto supporto psicologico con un alto grado di soddisfazione. L’impatto economico della malattia pesa in 4 pazienti su 10; circa il 30% dei malati sperimenta sulla propria pelle un qualche genere di problema pratico. Nel 23% dei casi un’Associazione ha fornito supporto. La tipologia di aiuto più citata è quella del sostegno psicologico, 4 su 10 pazienti, seguita dalla consulenza specialistica per un quarto degli intervistati.
«L’indagine evidenzia le difficoltà che noi clinici calabresi conosciamo bene e che sono di carattere gestionale e organizzativo –aggiunge Bruno Martino, Direttore Unità Operativa di Ematologia, Grande Ospedale Metropolitano Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria –fortunatamente l’ematologia è una piccola isola felice giacchè il paziente ematologico è sempre al centro del nostro lavoro e la sua presa in carico è a 360 gradi. Nei nostri reparti portiamo avanti la medicina di precisione con la diagnosi e la terapia personalizzata. Abbiamo medici competenti, infermieri altamente professionali, lo psiconcologo e altre figure necessarie alla cura delle persone affette da una malattia del sangue. Il clima è di piena fiducia. Devo ringraziare oltre agli operatori sanitari anche le Associazioni, come AIL, che in questo percorso negli anni sono sempre state accanto ai noi medici e a fianco dei pazienti».
