Cultura, Fiorita a Pascuzzo: "C’è un’idea forte perfettamente sovrapponibile a quella che abbiamo chiamato “La Grande Catanzaro”

Sabato 28 Maggio 2022 13:42 di Redazione WebOggi.it

 

Non so se, come scrive Antonio Pascuzzo, l’eco della campagna elettorale di Catanzaro suoni nella Capitale come un’eco lontana oppure vicina. La nostra città è uno dei capoluoghi di regione chiamati al voto e personalmente avverto tutto il peso della responsabilità per essermi candidato alla sua guida anche per restituirle prestigio e ruolo agli occhi della Calabria e del Paese. L’ho fatto da catanzarese perché ne ho avvertito il dovere e non certo da oggi. Di questo, sento con modestia di poter rassicurare Antonio. Così come sento di poter puntualizzare che sì, è vero, forse c’è qualcuno che cerca di marcare la distanza con l’esperienza amministrativa che volge al termine. Ma non è un’esigenza che mi appartiene, così come non appartiene alle donne e agli uomini con cui condivido il cammino. Il nostro giudizio su chi finora ha governato la città è netto e sentiamo di poterlo esprimere in piena libertà, senza alcun imbarazzo; perché di quell’azione di governo non portiamo alcuna responsabilità. Siamo stati e lo siamo ancora di più oggi, avversari di quella stagione e vorremmo diventasse in futuro solo un brutto ricordo.

 

 

 

Ha ragione Pascuzzo, quando invoca un cambio di passo nelle politiche culturali.È quello che abbiamo fatto anche noi nel corso di questa campagna elettorale ogni volta che abbiamo affrontato quel tema. Le nostre idee hanno poi trovato posto, sistematizzate, nel nostro programma elettorale. C’è sintonia tra quello che pensiamo noi e quello e quello che pensa Antonio, a cominciare dalla valorizzazione delle competenze artistiche associate a quelle tecniche. Lo vado ripetendo da tempo: io non credo al sindaco tuttologo, non credo nell’uomo solo al comando, non credo all’uomo della provvidenza. Credo nel dovere della politica di valorizzare le competenze per porle al servizio di un progetto. È quello che fa la differenza. Noi non pensiamo di avere la verità in tasca ma un progetto, sì, quello ce lo abbiamo e lo offriamo alla libera valutazione dei catanzaresi. Così come saremo felici di poterci confrontare con Pascuzzo, che indiscutibilmente ha dato prova di conoscere la materia.

 

 

L’occasione di dare un nuovo governo al Capoluogo è cruciale per il comparto della cultura. Parliamo di un ambito che in anni recenti ha dimostrato vivacità, vitalità, a Catanzaro più che altrove in Calabria. Credo non sia casuale se dopo il biennio drammatico della pandemia, la ripartenza si presenta ricca di voglia di fare, con  tanti cartelloni che hanno già cominciato a prendere corpo. Considero questo un fatto importante per ricostruire la normalità di cui si sentiva il bisogno, ma non sufficiente a cambiare passo. Chi fa cultura deve poter svolgere pienamente, più di quanto già non faccia, la sua funzione di creare tessuto sociale nel senso più ampio del termine, garantendo un’offerta di qualità, aggregando, favorendo gli scambi all’interno della comunità, rafforzandone i tratti identitari. Solo così la cultura, pur restando nutrimento dell’anima, riesce anche a essere processo di crescita civile e fattore di sviluppo economico nel senso puntualmente descritto da Pascuzzo.

 

 

 

A Catanzaro, invece, le politiche culturali sono state tutt’altro. Niente partecipazione, niente progetto, niente visione. Solo la buona volontà dei singoli operatori, animati dall’amore per il proprio lavoro e da uno spirito di sacrificio più unico che raro. Per il resto, non posso che ribadire quanto ho dichiarato di recente: la cultura a Catanzaro è stata appaltata a poche persone che, rivestendo contemporaneamente più ruoli, accentrano totalmente le decisioni, la spesa, i finanziamenti. Non è così che le politiche culturali fanno crescere il territorio. Anzi, così siamo proprio fuori dal concetto stesso di politica culturale. Siamo alle “Feste di Piazza”, nell’allegoria che ne fece anni addietro Edoardo Bennato in una canzone che porta proprio quel titolo.

 

 

 

Catanzaro ha un patrimonio enorme di storia, di tradizioni, di beni materiali e immateriali, di strutture, di intelligenze. E non c’è ambito nel quale la città non possa vantare elementi di assoluto rilievo. Una storia lunga, cominciata con l’arte serica e arrivata fino a noi con i protagonisti di oggi: nel cinema, nella musica, nel teatro, passando per veri e propri giganti come lo è stato Mimmo Rotella, solo per fare un esempio. Ce lo ripetiamo da anni, lo so, ma perché da anni nessuno ha avuto la cura e l’amore, né tantomeno l’interesse per pensare a come mettere a profitto questo patrimonio; valorizzandolo, facendone oggetto di progetti sostenibili nel tempo, chiamando a raccolta professionalità e competenze riconosciute “come tali perché tali”. Siamo distanti anni luce da questo metodo. Lo siamo così tanto che a volte capita che non si sappia quale evento seguire una certa sera perché il Comune non è stato in grado neppure di allestire uno straccio di agenda unica, cui gli organizzatori possano fare riferimento per evitare che gli eventi si sovrappongano.

C’è un’idea forte nel racconto di Pascuzzo che voglio riprendere perché la trovo perfettamente sovrapponibile a quella che abbiamo chiamato “La Grande Catanzaro”, la città che diventa motore, stimolo, affinché anche in tema di politiche culturali tutto un hinterland si muova coerentemente dentro una strategia comune, che valorizzi ogni singola tessera del mosaico. Non è possibile che realtà come la seta di Tiriolo, il Mattia Preti di Taverna, il sito archeologico di Roccelletta – solo per fare esempi tra i più significativi – vivano fuori da contesto complessivo, da un circuito attrattivo, nonostante siano separati da appena una manciata di chilometri. Eppure è così. E a chi spetta se non a Catanzaro l’iniziativa di avviare un dialogo, non per fagocitare il suo hinterland ma per metterlo, appunto, a sistema? Per far sì che il piccolo potenziale di crescita di ciascuno diventi il grande potenziale di tutti? Sono domande retoriche, certo, ma siamo ancora qui a farcele, per il semplice motivo che mentre altrove si sono rimboccati le maniche – come racconta Pascuzzo – qui nessuno ha fatto niente. E c’è da rabbrividire al solo pensiero di quante risorse sono state comunque spese negli anni.

 

Questo è il quadro nel quale abbiamo costruito le proposte contenute nel nostro programma. Ho scelto volutamente di non elencarle in maniera asettica perché ogni proposta, almeno per quel che ci riguarda, è perfettibile;  ma poi perché da sempre sosteniamo l’idea del governo partecipato e la partecipazione è per noi un impegno solenne che prendiamo con la città. Niente più stanze chiuse, in cui pochi prendono decisioni sulla testa di tutti. Ho preferito dunque soffermarmi sull’approccio che ci ha guidati nell’affrontare il tema delle politiche culturali. Perché è solo nell’approccio che si può marcare la differenza rispetto a un passato con cui vogliamo chiudere definitivamente.


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