Comunali, Rizza scrive alla città: "Ecco perchè non mi candido alle prossime elezioni"

Sabato 13 Maggio 2017 17:25 di Redazione WebOggi.it

Riceviamo e Pubblichiamo una lettera inviata alla nostra redazione dal consigliere comunale Roberto Rizza. La missiva, indirizzata alla città, raccoglie le motivazioni che hanno spinto Rizza a non ricandidarsi.

"Cara Catanzaro, non sarò candidato alle prossime elezioni amministrative. Non è una decisione facile. Chi mi è vicino sa quanto sia tormentata, chi mi conosce immagina quanto possa essere sofferta. Nella mia vita mi son sempre chiesto quale fosse il modo migliore per servire la mia comunità; negli ultimi mesi, dopo cinque anni pieni di passione e di militanza, quanto questo potesse coincidere con una nuova esperienza in consiglio comunale. Oggi la decisione è presa. Il mio percorso istituzionale si prende una pausa. Per esempio, per coerenza, per onestà intellettuale. Il mio impegno politico, invece, lo premetto, continua. Per amore, per passione, per esempio. La politica non è matematica, non è ricerca del consenso, non è carriera. E’ l’unione del cuore e della ragione. Chi siamo, qual è il nostro sogno, perché ci siamo, perché siamo diversi, qual è il nostro dovere, il nostro progetto, gli altri. La politica è spiritualità, è partecipazione, è dovere. La nostra sfida è più alta, dev’essere più alta. Io non devo fare il consigliere comunale, io voglio cambiare la nostra città. Noi dobbiamo cambiare la nostra città. Scrivo con difficoltà, ci provo. Catanzaro. Per troppo tempo la politica cittadina si è tradotta in un compromesso multiforme: una concessione edilizia, un pacchetto di voti, un posto di lavoro, una multa stracciata, una festa di quartiere, una buca riparata. Così, da e per troppo tempo, la interpretano molti candidati e, diciamoci la verità, la vogliono molti cittadini. A fronte di tutto questo, forse in contrapposizione, alle scorse elezioni, la mia generazione ha visto riconoscersi eletta una nutrita rappresentanza all’interno del consiglio comunale. Sono convinto che proprio quella rappresentanza, alla quale la città non chiedeva una buca in meno o un’aiuola in più, né una festa o un selfie, sarebbe dovuta diventare avanguardia culturale e di partecipazione, presentandosi oggi, a queste elezioni, con un’offerta politica innovativa e visionaria. L’unica che oggi avrei potuto condividere e per la quale tutti avremmo dovuto fare di più. Esprimermi, pronosticare, commentare queste elezioni è davvero difficile. Ad una politica, familistica, clientelare ed assistenziale, non può contrapporsi un altro sistema fatto e intrinseco della stessa pasta. Ma non solo. Oggi scrivere e discutere di elezioni ci impone l’obbligo di un’analisi capace di andare ben oltre i confini del Sansinato. L’ho scritto già tempo fa. Ragioni, perché, preoccupazioni e speranze: tutto deve far parte di uno stesso ragionamento. Io penso che la linea che congiunge un ente locale alla crisi del nostro sistema istituzionale e alle battaglie che ciascuno avverte come proprie sia oggi cosa imprescindibile. Il nostro Paese attraversa un momento strutturalmente difficile. I vecchi sistemi di rappresentanza e di partecipazione non esistono più, quelli attuali che la modernità ci vorrebbe ancora propinare come collaudati e forti sono ormai solo dei surrogati. I partiti non esistono più. E ancora. Aggiungo una riflessione veloce. La differenza non può più esser tra destra e sinistra. Oggi la differenza è tra modernisti e antimodernisti, tra gli esclusivi e gli inclusivi, tra chi difende le identità e i territori e chi favorisce i processi mondialisti. O lo capiamo o continuiamo a favorire una classe politica che ci vuole divisi, deboli, innocui. Da Roma a Catanzaro. Tutto deve far parte di uno stesso ragionamento dunque. Qualcuno dirà che sono esagerato, ma tant’è: io penso davvero che, tanto il sostentamento a questo sistema, quanto il contributo al cambiamento, passino attraverso le nostre scelte, quelle quotidiane, piccole o grandi che siano, momenti elettorali inclusi. Tutto il resto è politichese. Draghi, orchi e altri personaggi malefici. Favole e illusioni? No, siamo anche noi in lotta nella mitica Terra di Mezzo; guardo ed evoco quelle favole di Tolkien che arricchiscono la nostra fantasia e appagano la nostra sete di contenuti. La cassa Edile in quel di San Leonardo e un dibattito su “La Compagnia dell’Anello” a braccetto con mio padre. Poi una sera a Piazza Brindisi, Teodoro Buontempo, chiamato Er Pecora, gridò per due ore, lo ricordo come il mio primo comizio. In entrambi i casi non avrò avuto più di undici anni. Io sono cresciuto e mi sono formato politicamente così: con e nell’esempio di mio padre, nel tramandato ricordo degli anni del suo impegno giovanile e nelle sofferenze di un presente condiviso che andava via via trasformandosi. Ho iniziato il mio impegno politico a quattordici anni, tra i banchi di scuola. Da allora ho cercato di trasmettere alla mia generazione il senso e l’importanza di un impegno sociale, culturale e politico. Di tutti assieme e di ciascuno. Sono stato promotore di idee e movimenti grazie ai quali, poi, tanti coetanei hanno trovato una propria determinazione personale. Sono “responsabile” della vivacità dell’ambiente accademico e politico del nostro Ateneo, altrimenti condannato ad appiattirsi su logiche che nulla hanno a che vedere con cultura, merito, passione. Logiche che violentano la purezza e la bellezza degli anni migliori, come uno sfregio che resta per sempre. A fronte di tutto questo, della lungimiranza sempre dimostrata e della capacità di anticipare i tempi, oggi sento come un macigno la responsabilità di non esser riuscito a segnare la strada che doveva offrire alla città, proprio oggi, una scelta diversa e possibile. A ed in queste condizioni ho scelto di non candidarmi. Ora avverto come prioritario e più costruttivo, più del resto, l’esempio di una rinuncia e quello di un impegno quotidiano anche senza una carica elettiva. La scelta di non candidarmi, che non è solo la mia, vuole segnare una pagina netta e chiara. Una diversità praticata e non predicata. Sento il desiderio di continuare questo percorso politico, di capire senza fretta come e quale sia il modo migliore, di crescere, di studiare; sento forte il bisogno di dover dare di più alla mia comunità cittadina. E’ stato per me un onore rappresentare questa città per cinque lunghi anni. Ci ho messo tutto me stesso, nella convinzione che chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica è chiamato ad attuare, senza parentesi e tentennamenti, una scelta netta tra la possibilità di portare avanti il proprio mandato per dovere di fede o farlo per convenienza. Ho fatto tutto quello che ho fatto - proposte, proteste, battaglie - consapevole di essere stato scelto da quei tanti per essere stato - e per continuare ad essere - esempio. Di impegno, di onestà, di passione sincera e disinteressata. Non ho mai raccomandato nessuno, non ho mai chiesto alcuna prebenda, non ho mai mercanteggiato la mia posizione. Nel percorso intrapreso ho anche sbagliato, ho sbagliato tante volte, ma sempre nel rispetto dei miei valori e delle mie idee. Senza mai tradire chi per questo mi ha scelto.Oggi posso dire ciò che voglio, guardarmi allo specchio e pensare a mio padre, bussola quotidiana, con il sorriso. Posso scrivervi queste poche righe senza remore. E’ la vittoria più bella, non la mia, ma di tanti. Sono stati cinque anni pieni, attraversati da eventi umani e personali che ne hanno inevitabilmente segnato il percorso. A tanti chiedo scusa per i miei silenzi, agli amici più cari per il tempo perduto. E’ stata un’esperienza tanto pubblica quanto privata, forte, fortissima, vissuta alla ricerca di un equilibrio personale. Porto con me, nella speranza di farne tesoro e maturità, le sconfitte personali, quelle più intime. Sono stati anni di protesta e di proposta nel corso dei quali spero di aver rappresentato questa città nel modo più degno. Dalle attività economiche alla cultura, dalle politiche sociali all’urbanistica. Dal regolamento per l’impiantistica pubblicitaria alle decine di manifestazioni culturali. Dallo studio per l’abbattimento delle barriere architettoniche alla lotta al caro affitti. Dalla voglia di far capire quanto questa città abbia bisogno di programmazione e identità, alla necessità predicata di una città che sia una e una sola. Ne abbiamo fatte tante. Non è il momento però, vi tedierei, di declinare l’analitico elenco delle cose fatte e non fatte. Arriverà in altra occasione, non per protagonismo, ma per dovere, nulla più. E’ il tempo del provvisorio e del dubbio e i fenomeni che si presentano alla ribalta della vita sono sempre contraddistinti dalla contraddittorietà. Oggi abbiamo il dovere di declinare soluzioni nuove e modelli alternativi, con coerenza e per esempio. A noi spetta il dovere di mettere in campo una riflessione collettiva sulla nostra condizione comune, sulla nostra identità, sul significato che vogliamo dare alle nostre vite. Dove finisce, ma anche dove comincia il nostro progetto politico e di vita? E il nostro sogno, se lo abbiamo, per il quale combattiamo ogni giorno? Dove Andiamo? Ecco alcuni degli interrogativi che dobbiamo porre a noi stessi prima ancora che a chi non la pensa come noi. Niente si ferma. Il percorso non si arresta, anzi. Inaugureremo, ad ottobre, una scuola di formazione politica, sarà aperta a tutti. A giugno ci rivedremo in Villa Trieste per raccontarci ancora e per parlare di identità e di città. Ci confronteremo con il Sindaco che sarà, da cittadini militanti, con il rispetto che si deve al ruolo e la libertà di sempre. Leggeremo delibere e determine, vigileremo sugli atti dell’amministrazione, saremo incalzanti. Intransigenti con noi stessi, severi con gli altri. Scateneremo la fantasia e punteremo sull’importanza della bellezza. Metteremo in rete le passioni e le professionalità più belle e libere. Sarà l’occasione per far emergere una classe dirigente pronta alle nuove sfide amministrative, politiche e culturali. Una comunità di uomini e donne, giovani e meno giovani, ancora più consapevole e unita da un comune sentire. Ai tanti amici, a chi mi è vicino, chiedo solo di non accontentarsi, di fuggire dall'idea che tutto è perduto, di non soffrire il fascino del potere, di rifiutare i modelli costituiti. Non è vero che il merito non possa prevalere, che il lavoro non sia più un valore. Costruiamo una nostra identità, lontana dalla massificazione e dal pensiero unico. Lo ripeto. Per cambiare questa città non servono gesti eroici, né santi e né politici che si ergono a tali. Serve la volontà, il coraggio, la partecipazione; serve agire secondo quello che si reputa giusto e non utile. Sempre. Con amore. Con amore o niente. Questa è la mia strada per disegnare una nuova forma di partecipazione alla vita politica della città. Catanzaro. Fino alla tua bellezza.


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