Benedetto Senidega. Il Papa rossanese col nome di Giovanni VII di Franco Emilio Carlino

Lunedì 12 Novembre 2018 09:54 di Redazione WebOggi.it

Benedetto Senidega. Il Papa rossanese col nome di Giovanni VII  di Franco Emilio Carlino  

Dopo il disegno imperialista dell’Imperatore bizantino Giustiniano I, noto come Renovatio Imperii, indirizzato a riprendere le diverse regioni del caduto Impero Romano d’Occidente, allo scopo di restituirle al loro antico fastoe amministrate da un solo Imperatore, con capitale Costantinopoli, non mancarono i funzionari appartenenti alla nobiltà bizantinatrasferitisi in Italia e quindi anche nella signorile e splendida città di Rossano centro importante dell’Impero Bizantino, terra di civiltà e autorità politica, oltre che molto rinomata e riconosciuta nella storia religiosa per la misticità del suo territorio. Tra questi anche il padre di Benedetto Senidega, quello che poi divenne il Papa, rossanese, col nome di Giovanni VII. Il padre, infatti, era“il funzionario che sovrintendeva ai lavori di restauro del palazzo imperiale del Palatino, divenuto sede del governatore”[1]. Di origini greche, secondo quanto ci riporta Luigi Andrea Berto[2], apprendiamo che la madre di Giovanni si chiamava Blatta, mentre il nome di suo padre era Platone. Giovanni fu una persona molto colta efornita di grande capacità di parola e conoscenza della lingua congiunte a una forza di persuasione ed efficacia non comuni.Per la sua concretezza artistica e l’interesse per l'arte, confermata anche dall’averfatto affrescare molte chiese, fu rettore deipossedimenti monumentali, artistici e culturali e delle numerosissime bellezze presentilungo la via Appia, la strada sicuramente più importante dell’antica Roma.

Fu un pontefice certamente di origini orientali, ma con un interessante e durevole impegno al servizio della Chiesa cattolica prima della sua elezione sulla cattedra di S. Pietro avvenuta il 1° del mese di marzo dell’anno 705. Pertanto, credo non si può dire che il Nostro, Benedetto, appartenga a quella schiera di pontefici arrivati dall’Oriente, spesso designati dagli stessi sovrani allo scopo di essere compiacenti con la loro scelta nel campo della religione. A riguardo interessante e utile è il richiamo di L. Accattatis, che nella sua opera riprendendo il pensiero del Muratori così riporta: “Dacché miriamo (osserva il dottissimo Abate Muratori) tanti Greci posti nella sedia di San Pietro, possiam ben credere, che gli Esarchi ed altri uffiziali Cesarei facessero de’ maneggi gagliardi per far cadere l’elezione in persona della lor nazione; il che nulladimeno nulla nocque all’onore della santa Sede, perché questi Greci ancora fatti Papi sostennero sempre la vera dottrina della Chiesa,né si lasciarono punto smuovere dal diritto cammino per le minacce de’ greci Imperatori”[3]. Ma chi era veramente Papa Giovanni VII (705-707) nato a Rossano e che nel corso del suo pontificato per un certo intervallo di tempo traslocò nella residenza imperiale del Palatino fatta costruire da Tiberio, abbandonando di fatto il vescovado lateranense? Secondo una vasta parte di critica storiografica tale trasferimento rappresentò un valore politico dimostrativo di enorme importanza, poiché Giovanni VII conquesto suocambiamento di residenza si poneva manifestamente sotto il protettoratopolitico e militare dell’esarca bizantino. Le motivazioni di siffatta azione, credo debbano ricercarsi verosimilmente nella volontà dello stesso Giovanni VII di appoggiare intenzionalmente i Bizantini non tanto per individuale simpatia,ma preferibilmente perché aveva capito di non poter contrastare Giustiniano II, benché pungenti erano in quel momento le opinioni di un vasto contesto e malgrado ottimi risultavano i legami con i Longobardi, che a dire il vero non gli procurarono alcun grattacapo, cosa che, diversamente, era successo a Giovanni VI, suo predecessore, anch’egli di origine greca, quando Gisulfo, duca longobardo di Beneventoriuscì a sottrarre buona parte meridionale del Lazio,portandosi così con il suo esercito quasi alle porte della città di Roma.A riguardo, altro episodio che conferma i buoni rapporti tra Giovanni VII e i Longobardi fu la risposta positiva a Faroaldo II, duca di Spoleto, che lo sollecitò al mantenimentodei beni della famosa abbazia di S. Maria di Farfa, in provincia di Rieti edificata nel 680 dal franco, Tommaso di Moriana, e quindi sotto la salvaguardia dei Longobardi, segnale tangibile di quantaautorità veniva riconosciuta a questo papa rossanese da Faroaldo II. La circostanza, però, che maggiormente sottolinea i favorevoli e concreti confronti traGiovanni VII e lo Stato Longobardo è raffiguratadalla concessione fatta dal re Ariperto IIalla la Chiesa di Roma. Si trattò di un attestato, con il quale alla Chiesa le si riconosceva la proprietà del patrimonio delle Alpi Cozie, precedentemente conquistate dal suoprecursore Rotari, duca di Brescia che consolidò il suo potere in opposizione alle pressioni separatiste, allargando così le sue occupazioni sui territori di Bisanzio. Un gesto, quello di Ariperto II, dal quale si intravide il proseguimento di una politica filocattolica unitamentealla ricerca e alla volontà di rafforzare l’amicizia e l’intesa cordiale non solo col Papa, ma anche con Bisanzio,se pure in quella particolare congiuntura, questaera stretta da una evidente crisi che screditava l'Impero e avviavale province italiane verso una più consistente autonomia; un modo anche, se pure indirettamente, di affermare l’atto della precedente usurpazione del territorio da parte dei Longobardi.   Diverso e più spigoloso, viceversa, si rivelò il confronto con Costantinopoli, capitale dell’Impero bizantino, alla cui guida era l'imperatore Giustiniano II che nel 705 aveva nuovamente conquistato l’autorità perduta, punendo aspramentei suoi oppositori, tra i quali figurava anche Callinico,patriarca di Costantinopoli, che fuestromesso, reso ciecoe trasferitoa Roma, quasi certamentea scopo dimostrativo, per far comprendere cosa sarebbe successo a coloro che avrebbero ostacolatole sue decisioni. La missiva era indirizzataoltre che a Giovanni VII anche all’esercito bizantinodi stanza in Italia che in altre circostanzeaveva contrastato militarmente coloro che erano stati mandati dall'imperatore.

Dopo Callinico, a Roma, giunsero due vescovi inviati da Giustiniano II con la richiesta a Giovanni VII di convocare un nuovo Concilioper raggiungere un consenso attorno la pubblicazione di una serie di canoni che accoglievano consuetudiniorientali della cristianità, previste dal precedente Concilio convocato dall’Imperatore,noto come Quinisesto[4] o “in Trullo”[5], tenutosi a Costantinopoli nel 692, e valevoli per tutti i cristiani, al quale, però, si era decisamente opposto Papa Sergio perché non informato e perché i canoni sui quali si ricercava il consenso furono allora firmati senza alcuna autorità conferita. Alla opposizione di papa Sergio ovviamente non mancarono reazioni imperiali tendenti a perseguire il suo operato, ma caddero nel vuoto a seguito della ribellione dei soldati in stanza a Ravenna, ed anche a seguito della sua destituzione. Innegabilmente, la richiesta imperiale era ben precisa. Giustiniano II voleva sapere da Giovanni VII su quali canoni previsti dal precedente Concilio del Quinisesto la Chiesa di Roma era d’accordo e qualierano quelli, invece, che rifiutava. Giovanni VII, nascondendo probabilmente le sueincertezze,restituì a Giustiniano II gli atti del precedente Concilio senza alcuna modifica. Una soluzione fin troppo chiara e in linea con le pretese di Giustiniano II. Una reazione che emerge, anche da certa storiografia che fa sapere come, secondo il biografo, Giovanni VII fu turbato e intimorito dalla richiesta a causa della sua fragilità umana.E questo, forse, fu il punto di maggiore leggerezza del Papa rossanese, che ha spinto secondo quanto scrive Andrea Berto “molti storici ad annoverare Giovanni VII tra i papi che non seppero resistere alle richieste degli imperatori in materia di religione”[6],quindi influenzabile, anche se al momento non esiste documentazione in merito da cui possono reperirsi le conclusioni del Concilio ecclesiastico. Ed è ancora lo stesso Berto che a riguardo ancora scrive: “L'atteggiamento remissivo del papa ha fatto sospettare che alcuni affreschi della chiesa di S. Maria Antiqua, da lui commissionati, rappresentassero un ulteriore adeguamento di Giovanni VII alla politica religiosa dell'imperatore Giustiniano II. La grande composizione posta nella parte superiore del muro absidale raffigura una grandissima crocifissione ai cui lati c'è una folla di persone, un'iscrizione con delle frasi bibliche, nonché angeli e serafini. È stato ipotizzato che ciò raffigurerebbe una trasposizione dell'Adorazione dell'Agnello in ossequio al canone 82 del concilio Quinisesto, che vietava la rappresentazione di Cristo sotto la forma di agnello. Un'altra rivendicazione delle posizioni di Roma sembra essere attestata dai mosaici che decoravano la cappella dedicata a Maria che Giovanni VII ordinò di costruire in S. Pietro, e dove fece porre la sua tomba”[7]. Anche in questo caso, il farsi tumulare in S. Pietro seguendo le tracce di altri papi che lo avevano preceduto, non vi è dubbio che fu un gesto di continuità. Quello che invece lascia qualche perplessità sono le modalità della sua tumulazione. Infatti, mentre i suoi predecessori si fecero sotterrare in umilitombe, Giovanni VII, fu il primo papa che si fece preparare il sepolcro dalle caratteristiche certamente pompose;elemento che ci fa capire la sua volontà di mettere in risalto, per certi versi,la suasupremaziapapale, richiamandosi a quello che fu per lui l’esempio di Leone I in fatto di “continuità apostolica e primato papale”.

A scrivere di Giovanni Settimofurono in molti e tra questi come già in precedenza accennato Luigi Accattatis che in relazione nella sua opera così riporta: “Giovanni VII governò la Chiesa per due anni, sette mesi e diciassette giorni”. - “Edificò un Oratorio ad onore di nostra Signora, rifece la Chiesa di Sant’Eugenia, che era tutta rovinata dal tempo, e risarcì molti altri luoghi sacri, e di varie statue e pitture gli ornò, le quali ai riguardanti sembravano l’istesso Pontefice, perché gli statuarii e i pittori alla presenza sua avean preso l’esemplare di gravità e dignità.Così il Ciccarelli”[8].Condotta, che secondo fonti storiche accreditate, fu anche soggetta ad alcune osservazioni un po' ironichedel suo stesso biografo, che ci fa sapere come di frequente era raffigurata anche la suafigura. Ma l’Accattatis continua e richiamandosi ad altri autori ci dice quanto, “il Muratori soggiunge: “Per opera di questo Pontefice, come si ha nelle Cronache Monastiche, l’insigne Monastero di Subbiaco nella campagna di Roma, già abitato da San Benedetto, rimasto deserto per più di cento anni, cominciò a risorgere, avendo quivi esso Papa posto l’abate Stefano, che rifece la Basilica e il Chiostro, e lasciovvi altre memorie della sua attenzione e pietà”[9]. Giovanni VII, appena due anni dopo il suo papato, venne a mancare il 17 ottobre 707 e fu tumulato presso l’altare della Beata Vergine, dove sul passaggiodi ingressocampeggiava l’iscrizione (titulus): "di Giovanni servo di santa Maria".

[1]http://wwwbisanzioit.blogspot.it/2012/05/loratorio-di-giovanni-VII.html [2]Andrea BERTO, Enciclopedia dei Papi 2000, in http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-VII_%28Enciclopedia-dei-Papi%29/ [3]Luigi ACCATTATIS, Le Biografie degli Uomini Illustri delle Calabrie, p. 52, Vol. I.   [4] Approfondimento delle decisioni del V e VI concilio ecumenico: per questo il nome di "Concilio Quinisesto" (quinto e sesto). [5]Chiamato anche "in trullo" o "trullano" dal nome del luogo. Si tenne nel palazzo imperiale ed il "trullo" era la cupola della sala dove si svolgevano gli affari di Stato. [6] Andrea BERTO, Enciclopedia dei Papi 2000, in http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-VII_%28Enciclopedia-dei-Papi%29/ [7] Ibidem. [8]Luigi ACCATTATIS, Le Biografie degli Uomini Illustri delle Calabrie, p. 53, Vol. I. [9]Ibidem, p. 53, Vol. I.  


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