
San Vito Hospital: fare la differenza con i pazienti Covid positivi
Domenica 31 Maggio 2020 13:53 di Redazione WebOggi.it
QUANDO L’ORGANIZZAZIONE E LA PREPARAZIONE FANNO LA DIFFERENZA NEL TRATTAMENTO DEI PAZIENTI POSITIVI AL COVID 19
Mentre infervorano le polemiche sui mancati aiuti alla RSA Domus Aurea di Chiaravalle, per come riportano le telefonate intercorse tra il titolare della struttura e il responsabile del Servizio del 118 di Catanzaro, alcuni pazienti della suddetta RSA già ricoverati presso il Policlinico Mater Domini hanno trovato ospitalità presso il modulo di RSA del San Vito Hospital ubicata nel Comune di San Vito sullo Ionio, su disposizione al ricovero da parte del Distretto socio-sanitario di Soverato.
E’ questa è già una notizia se si pensa che da oltre un mese i pazienti ricoverati presso il Policlinico di Catanzaro non riescono a trovare strutture disposte ad ospitarli per come è avvenuto con il rifiuto negli ospedali di Tropea, Lamezia Terme e Trebisacce mentre il San Vito Hospital si è fatto carico del ricovero avendo da tempo attrezzato un reparto destinato a pazienti Covid-19 positivi, o in quarantena, o negativizzati ma da tenere sotto osservazione, quindi disponendo di personale formato nella gestione di questa patologia, attrezzato con tutti i dispositivi previsti dalle normative vigenti e sotto sorveglianza medico specialistica.
Il San Vito Hospital è una delle strutture del Gruppo a cui fa capo anche Villa Torano dove, al di la delle polemiche strumentali alimentate da qualcuno alla ricerca di visibilità mediatica nazionale, è stato dimostrato come si possa gestire un focolaio epidemico di notevoli dimensioni (38 pazienti e 45 operatori risultati positivi al Covid 19) quando una struttura è organizzata dal punto di vista strutturale e dispone di proprio personale specializzato che ha permesso di mantenere in ambienti nettamente separati pazienti positivi, pazienti negativi e pazienti in osservazione. In un mese circa il focolaio è stato spento (resiste solo un residuo virale non infettivo in tre pazienti totalmente asintomatici) e forse solo un decesso (la paziente n.1 ricoverata in ospedale) potrebbe avere un collegamento con la patologia virale, essendo l’unica che ha presentato al momento del ricovero sintomatologia correlabile, rispetto a tutti gli altri ricoverati sempre asintomatici a patologie Covid 19 come refertato anche dai medici specialisti della task force inviata dall’ASP di Cosenza su richiesta della struttura al fine di valutare le effettive condizioni dei pazienti, dopo qualche giorno dall’esplosione del focolaio epidemico.
E’ proprio la sinergia che si è poi instaurata con i medici specialisti dell’ASP di Cosenza, anche attraverso il servizio di telemedicina implementato a Villa Torano, rappresenta il modello a cui oggi si richiama anche il Governo nazionale quando, con il Decreto legge n.34 del 19 maggio u.s., in caso di emergenza epidemica, dispone di potenziare l’assistenza territoriale, soprattutto verso le residenze sanitarie assistenziali e le strutture protette, mediante l’attività di sorveglianza attiva e di monitoraggio da parte dei medici specialisti dell’Azienda pubblica. Questo però presuppone che ogni struttura deve essere pronta con proprio personale e proprie attrezzature ad affrontare casi sporadici o focolai epidemici che si teme possano ripresentarsi, soprattutto se dovesse avverarsi quanto oggi previsto dagli epidemiologici e cioè con il ritorno della pandemia in autunno. Se cosi dovesse essere lo scenario sarebbe ancor di più preoccupante, rispetto all’epidemia emersa nel mese di marzo-aprile, perché in autunno la sintomatologia delle sindromi influenzali andrebbe a sovrapporsi alla medesima sintomatologia con cui esordisce l’infezione virale da Covid 19 e quindi ci sarebbe un assalto agli ospedali perché nessuno può pensare di fare ogni giorno migliaia di tamponi nella nostra regione cioè l’unico test che allo stato permette di fare una diagnosi differenziale tra influenza e infezione da Covid 19. E figuriamoci cosa potrebbe succedere nelle rsa o nelle strutture protette se non si è pronti ed attrezzati a gestire l’eventuale infezione da Covid 19 almeno sino al grado di grave insufficienza respiratoria da trattare con i respiratori artificiali. Si può pensare di portare gli oltre 5 mila pazienti oggi ricoverati nelle strutture socio sanitarie in ospedale?
Scenari che presuppongono la capacità di queste strutture a trattare fin d’ora anche pazienti positivi al Covid 19 perché nessuno può pensare che di fronte al ritorno dell’epidemia ci possa essere la certezza di non incorrere in casi di positività, sia tra i pazienti che tra gli operatori, soprattutto se le strutture dovranno essere a supporto degli ospedali pubblici nelle dimissioni dei pazienti ricoverati per la patologia infettiva e quindi l’elevato turnover dei pazienti aumenta i rischi di dover trattare utenti ancora positivi o in osservazione che però necessitano delle stesse precauzioni messe in atto di fronte ai casi accertati di positività al Covid 19.