
Domenico Morici: Il Rossanese dalle moderne idee liberali e riformatrici di Franco Emilio Carlino
Sabato 04 Agosto 2018 08:54 di Redazione WebOggi.it
Domenico Morici
Il Rossanese dalle moderne idee liberali e riformatrici
Setacciando in alcuni scritti riguardanti l’indimenticabile e catastrofico terremoto di Rossano del (1836) includenti anche alcuni riferimenti circa l’inizio dei lavori di alcune opere pubbliche della città tra cui quella relativa alla realizzazione dell’acquedotto comunale, un’opera tanto auspicata dalla comunità sin dai primi anni del XIX secolo, nel corso della lettura la mia attenzione fu richiamata dal nome del progettista, un certo Domenico Morici, di professione architetto. Incuriosito dal cognome, peraltro, già a me noto per averne trattato in altra occasione e contesto alcune vicende storiche, ma con riferimento ad Antonio Morici, noto esponente a Rossano, insieme ai fratelli Saverio e Gaetano Toscano Mandatoriccio, del Comitato a favore della rivoluzione liberale e repubblicana del (1848), decisi di approfondirne gli aspetti biografici e comprenderne eventuali relazioni.Secondo fonti storiche accreditate, tra cui quelle di L. Ripoli in Rossano Pel Riscatto Nazionale, i Morici arrivarono a Rossano nel XVIII secolo provenienti dalla Spagna a seguito della grande rivoluzione.
Noto per le avanzate ed indiscusse idee riformatrici e liberali, già presenti e radicate nella sua famiglia, influente figura del tempo, patriota di assoluta onestà e rettitudine, Domenico Morici, nacque a Rossano il 13 febbraio 1773 da Giuseppe, medico, filosofo, naturalista e da Margherita Russo. La stima, il credito e la fiducia verso la sua persona le hanno riservato anche un significativo spazio nel Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 76 (2012), Treccani, a firma di F. Zavalloni, nel quale a riguardo, in un breve passaggio, annota che “compiuti gli studi inferiori nella città natale, visse una brevissima esperienza nell’esercito del regno di Napoli, militando con il grado di caporale in un reggimento di stanza a Salerno. In seguito, spronato dai pressanti ammonimenti paterni, si recò a Napoli per intraprendere gli studi universitari, portati a termine nel (1798) con il conseguimento della laurea in ingegneria e architettura”. Congiuntamente al genitore, a seguito delle idee libertarie e del suo fervore nel portarle avanti, a Rossano fu tra i primi cospiratori. Implicato nella sommossa giacobina del 1794, si dimostrò un convinto propugnatore della breve esperienza rivoluzionaria in occasione della Repubblica Napoletana o (Partenopea) del (1799)durata solo per pochi mesi e che provocò alla città tante sofferenze, ma quanto bastò per rinvigorire le proprie idee e gli animi verso azioni e sentimenti liberali e costituzionalistici. Rossano risentì molto di questa nuova situazione diventando così sede di Loggia massonica ai cui incontri il Morici non fece mancare, insieme a tanti altri rossanesi, il proprio contributo. Comportamenti che gli si ritorsero contro tanto da risultare vittima di persecuzioni, ricercato dalla polizia borbonica e costretto ad allontanarsi da Rossanoin modo da sfuggire alle angherie che accompagnarono il triste periodo della restaurazione, con la repressione voluta dal re Ferdinando IV. Rimase così lontano dalla città natia, ritornandovi in seguito,insieme ad altri rossanesi tra cui Luigi Palopoli, come ci ricorda in nostro A. Gradilone, nella sua Storia di Rossano, e solo dopo che Napoleone impose al Borbone la pace di Firenze nel (1801), unperiodo in cui le Calabrie erano generalmente invase militarmente dalle milizie francesi, anche se non pochi erano ancoracoloro che continuavano a esternare il proprio sostegno al Borbone.
Appena qualche anno dopo, per la precisione nel (1809), dopo aver riguadagnato la libertà, a Napoli dove si era trapiantato, Morici cercò di ottimizzare la sua carriera d’ingegnere, occasione che gli permise di allargare i suoi orizzonti professionali e di vita, ritrovandosi così, per concorso, a far parte delle file degli Ufficiali del Genio dell’esercito del nuovo re di Napoli Gioacchino Murat. Insieme allo stesso Murat prese parte agli avvenimenti bellici della terribile spedizione, che portò all’invasione francese della Russia, tra il (1812-1813),conclusasi con una catastrofica disfatta e il disfacimento dell’esercito francese. Una esperienza, tuttavia, nella quale il Morici, peraltro, danneggiato da congelamento al piede destro, come ci ricorda ancora il Gradilone, si fece conoscere per il suo talento e i grandi meriti acquisiti nel corso dei combattimenti, che gli valsero attenti riconoscimenti con l’innalzamento del grado militare nel ruolo di capitano del Genio.
Terminatal'epoca murattiana, con la sconfitta dell’esercito del Murat nella Battaglia di Tolentino tenutasi nel maggio (1815), si crearono le premesse per il ritorno a Napoli di Ferdinando IV, cosa che avvenne il 7 giugno successivo riafferrando così la sua sovranità sul Regno di Napoli, occasione che consentì al Morici, in quel momento assillato da una difficile situazione finanziaria, diaccreditarsi nei ranghi delle truppe borboniche. Incarico, tuttavia, che ebbe breve durata poiché il Morici rassegnò le dimissioni pur mantenendo alcuni privilegi conferitigli dallo stesso Ferdinando.
Fissata la sua dimora a Napoli, secondo quanto riportato da L. Ripoli, nel 1816 prese in moglie la “simpatica e formosissima” Raffaella dell’Aversano, dalla quale ebbe molti figli.
A seguito delle elezioni generali, nel (1820),per la provincia di Cosenza, insieme ad altri quattro, fu eletto deputato alla Camera prendendo parte e adoperandosi assiduamente ai lavori parlamentari, alla presenza del re, avviati il 1° ottobre dello stesso anno. Data la sua indubbia esperienza sulle problematiche politico-militari, il Morici fu membro della Commissione parlamentare sulla Guerra, Marina e Affari Esteri, lasciandosi apprezzare per la sua assiduità negli interventi che risultarono, ogni volta provvidenziali ed efficaci per risolvere spesso situazioni di forte criticità, tanto da essere oggetto di attenzione da parte della stampa parlamentare e spesso citato nel Diario del Parlamento Nazionale a cura di Carlo Colletta. Il deputato rossanese non perse mai occasione in Parlamento di denunciare con lucidità quanto la grave povertà sociale potesse essere dannosa per il nuovo regime. A riguardo basti ricordare quanto riportato in Atti del Parlamento, II, 1926, pp. 252 s. quando il Morici alla conclusione di un suo appassionato intervento affermava: “[…] Signori! Troppo finora si è dato alle proprietà e alle ricchezze. Se si facesse più onore alla povertà virtuosa, si vedrebbero sorgere dei talenti straordinari, che oggi restano oscuri e vilipesi».
Come ripercussione alle palesi avvisaglie di azioni esterne, sostenute anzitutto da re Ferdinando, secondo cui la Costituzione era stata imposta in maniera sleale, il 13 febbraio 1821, Morici avanzò, senza tuttavia produrre effetto, la richiesta di essere sollevato dal mandato parlamentare di deputato per indossare nuovamente la divisa militare di ufficiale e così continuando a dare il proprio contributo ai lavori parlamentari, il 13 marzo 1821, alle segnalazioni delle prime sconfitte ricevute dalle fragili truppe napoletane, compilò, congiuntamente ad altri quattro deputati, un appassionato appello mediante il quale chiamava la popolazione a contrastare fino all’estremo l’esercito austriaco.
Alla disfatta dell’esercito napoletano, sollevate le rappresentanze parlamentari, il 23 marzo dello stesso anno, prima di ritornare nella sua Rossano, dove si adoperò da subito per incoraggiare un ultimo tentativo insurrezionale, purtroppo senza esito favorevole, il Morici, insieme a un consistente numero di parlamentari concesse il proprio supporto a una interpellanza di Giuseppe Poerio, con la quale si riconfermarono ufficialmente la regolarità degli organismi parlamentari e il ritorno alle libertà costituzionali. Rigorosamente tenuto sotto controllo dalle forze di pubblica sicurezza, fino al (1831) si trattenne a Rossano, per poi fare ritorno a Napoli dove il suo spirito irrequieto, liberale e indipendentista gli fece riprendere collegamenti con alcune forze rivoluzionarie della città che auspicavano il ritorno ai precedenti valori costituzionali già affermati con la nascita del Parlamento del (1820). Un comitato insurrezionale, secondo quanto ci riferiscono gli storici, al quale aderivano insieme al Morici e al frate Angelo Peluso, un laico francescano, anche Vito Porcaro, Gennaro Lopez, Francesco Vitale e l’ufficiale Filippo Agresti. Un movimento d’ispirazione carbonara che portò il Morici a entrare nella congiura dell’agosto (1832), con la missione di creare una insurrezione popolare accompagnata da un considerevole numero di militari che avrebbero dovuto abbandonare l’esercito. Tutte azioni che lo resero prigioniero nel carcere di S. Maria di Capua. Il 9 settembre 1833 il Morici subì la condanna all’ergastolo, pena poi sostituita in trent’anni di lavori forzati.Sanzione che influì molto sulsuo stato di salute, per cui ricoverato nell’ospedale del carcere di S. Francesco di Napoli per un attacco di emottisi, e più tardi da apoplessia morì a Napoli nel 1840.
Franco Emilio Carlino