La diffusione del coronavirus è determinata dalle serie calcistiche?

Venerdì 02 Ottobre 2020 10:00 di Redazione WebOggi.it

"Tutto è iniziato con Ascoli-Cremonese il 22 Febbraio 2020 gara valevole per il campionato di serie B appena trascorso perché è stata la prima partita rinviata per il pericolo Covid. In quell'occasione il Presidente dell'Ascoli Pulcinelli definì l'Italia "paese ridicolo". La settimana dopo, il 1° marzo, si giocò la partita di serie A Lecce-Atalanta consentendo ai tifosi bergamaschi la trasferta a Lecce contribuendo in tal modo alla diffusione del virus. Il Comitato tecnico scientifico aveva già chiesto la chiusura della Lombardia e di altre 14 province dopo la desecretazione dei verbali in Parlamento ma in attesa di chiudere l'intera nazione con gravi ripercussioni sull'economia nel frattempo si è disputata la famosa partita Atalanta-Valencia a San Siro il 19 febbraio, una decisione inversa a quella di Ascoli-Cremonese con la "perla finale" dell'ultima gara prima del lockdown Juventus-Inter perché non era importante la salute ma la disputa dello scontro decisivo per l'assegnazione dello Scudetto.

L'atteggiamento ondivago nelle decisioni sul pubblico negli stadi è continua, come se nulla fosse. Così per le amichevoli prima come per la serie A dopo, un migliaio di tifosi ha potuto vedere una partita. Questo significa forse che il coronavirus sia più pericoloso in serie B, C e D e che quindi sostenere una squadra nelle categorie minori è veramente molto più pericoloso? Sembra incredibile ma è così e questo criterio vale anche per la Coppa Italia. E' palese che le decisioni sono a dir poco cervellotiche, non conta certamente la diffusione del virus, l'indice di mortalità, la capacità di propagazione del contagio, i numeri dei decessi, il numero totale di contagiati ecc. Così si può assistere ad una gara a San Siro nella città più colpita del mondo, tra le più inquinate d'Europa, con un numero di decessi tra i più alti al mondo, con significativi numeri nei contagi e nei ricoveri, mentre non si può andare allo stadio neanche in mille a Reggio Calabria, a Catanzaro o Cosenza perché conta la serie, il campionato a cui si partecipa, non il covid e la sua diffusione.

Il calcio è la settima industria italiana, ci lavorano, considerato l'indotto, oltre un milione di persone ma il calcio va punito, non viene considerato come la festa dell'Unità o un festival di lirica o cinematografico o come cinema e teatri peraltro questi ultimi al chiuso. Adesso anche la UEFA, da sempre particolarmente prudente, ha deciso la riapertura degli stadi con una capienza fino al 30 per cento dei posti disponibili in ogni impianto, tanto per fare un esempio all'Olimpico di Roma potrebbero andare massimo 15.000/18.000 persone una ogni tre seggiolini. La decisione della riapertura degli stadi è una prerogativa che il governo si è riservato, mentre ha rinunciato al "Dovere" di decidere, di fermare i contagi a marzo chiudendo la Lombardia e 14 province del bacino padano. Quindi questo argomento degli stadi è utilizzato dai vari ministri per rilasciare dichiarazioni e commenti nelle ospitate in tutte le televisioni con tante idee, anche molto contraddittorie tra loro, che sono assolutamente lontane dalla realtà e che continuano a deprimere l'Italia. Ci sono state partite con un numero limitato di spettatori grazie ad interpretazioni varie, come il Potenza in Coppa Italia e la Pro Patria contro la Pro Vercelli, quest'ultima sulla base di una ordinanza regionale del Presidente del Piemonte, mentre in Calabria non si spendono milioni di euro disponibili per l'emergenza coronavirus e ci si nasconde dietro ordinanze repressive come l'obbligo della mascherina anche all'aperto, una decisione presa senza alcuna base scientifica.

C'è tanto bisogno di calcio e, seppur in questo triste clima, il minimo che oggettivamente si ha il dovere di fare è aprire gli stadi di tutte le categorie seppur con i protocolli a cui ormai ci stiamo abituando. Fermare la passione è un'offesa all'anima, nessun tifoso sarà indisciplinato perché tutti tengono a vedere anche le partite successive ma forse questi meccanismi sono lontani per chi non frequenta gli stadi".

Roberto Talarico


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